Dichiarazione infedele: l’accordo con il Fisco blocca il sequestro
- Dott. Lorenzo Rigoni
- 5 giorni fa
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Commento alla sentenza Cassazione penale n. 27741/2025
La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 27741 depositata il 29 luglio 2025, è intervenuta su un tema di grande interesse pratico: la possibilità di mantenere il sequestro preventivo finalizzato alla confisca in presenza di un accordo perfezionato tra contribuente e Amministrazione finanziaria.
Il caso riguardava l’ipotesi di dichiarazione infedele ex art. 4 del D.Lgs. 74/2000, fattispecie che si realizza quando il contribuente, al fine di evadere le imposte, indica in dichiarazione elementi attivi inferiori a quelli effettivi o passivi inesistenti, con superamento delle soglie di punibilità previste dalla norma. A fronte di tali reati tributari, la prassi giurisprudenziale ha sempre ritenuto legittimo il sequestro preventivo per equivalente sulle disponibilità del contribuente, in vista della successiva confisca obbligatoria del profitto del reato.
Nella vicenda sottoposta alla Corte, tuttavia, l’imputato aveva raggiunto un accordo con l’Agenzia delle Entrate, volto a regolare il pagamento del debito tributario mediante rateizzazione. La difesa sosteneva che tale circostanza facesse venir meno il presupposto stesso della misura cautelare, ossia l’esigenza di garantire il recupero dell’imposta evasa.
La Suprema Corte ha accolto questa tesi, affermando un principio di notevole rilievo: una volta perfezionato l’accordo e avviato l’adempimento, il sequestro non può essere mantenuto sull’intero ammontare del profitto del reato, poiché viene meno il “rapporto di strumentalità necessaria” che giustifica la misura cautelare. In altre parole, se il Fisco ha già concordato le modalità di riscossione, l’intervento penale non può duplicare l’effetto della tutela, trasformandosi in una forma di pressione impropria.
La Corte precisa che il sequestro conserva legittimità solo se l’accordo non è stato perfezionato o se il contribuente non adempie puntualmente. Diversamente, una volta che il debito fiscale è incanalato in un percorso di riscossione concordata, la misura cautelare si tradurrebbe in un inutile aggravio, in contrasto con i principi di proporzionalità e ragionevolezza sanciti anche dalla giurisprudenza costituzionale ed europea.
La pronuncia si inserisce in un orientamento che tende a coordinare le esigenze punitive del diritto penale tributario con le finalità deflattive e collaborative del diritto tributario sostanziale. In particolare, si valorizza l’effetto sanante degli strumenti di definizione consensuale con il Fisco (rateazioni, adesioni, transazioni fiscali), riconoscendo che essi incidono non solo sul piano fiscale, ma anche su quello penale.
Dal punto di vista pratico, la sentenza n. 27741/2025 apre spazi importanti per la difesa nei processi per reati tributari: l’avvenuto accordo con l’Agenzia delle Entrate diventa un argomento decisivo per chiedere la revoca o la limitazione del sequestro preventivo, a tutela delle risorse finanziarie del contribuente e della continuità aziendale.
In conclusione, la Cassazione ribadisce che il diritto penale tributario non può operare in modo isolato rispetto alle dinamiche fiscali: quando l’Erario ha già garantito il recupero del tributo mediante un accordo vincolante, il sequestro perde la propria funzione cautelare e deve essere ridimensionato. Si tratta di un passo ulteriore verso una maggiore armonizzazione tra giustizia penale e fisco, nel segno della concretezza e dell’equilibrio.
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